Il Libro

Echi di vita

in

«La nostra Storia - Cronistoria della Città di Acquaviva delle Fonti»
dei fratelli Martino e Nunzio Mastrorocco

(Editore Suma, 2003)

di Antonia Colamonico

Nella mia ventennale esperienza di docente e studiosa di processi storici, spesso mi è capitato di interrogarmi sul significato delle azioni che quotidianamente siamo portati a compiere e sulla collocazione di queste, quali piccoli segni, nel quadro complesso e molteplice dei grandi eventi e dei grandi processi economico-politico-sociali che hanno dato e danno corpo alle civiltà, alle culture, alle correnti di pensiero e ai grandi mutamenti dell'umanità. Sono stati gli stessi miei studi su Biostoria, che mi hanno fatto comprendere quanto sia un non senso parlare di storia locale e di storia nazionale e mondiale. La storia è storia sia se la si osserva con occhio a campo allargato o sia a campo ristretto, questo lo aveva già cantato De Gregori, negli anni '70, con "La storia siamo noi... nessuno si senta offeso... nessuno si senta escluso...".
Nella sua essenza profonda la storia si identifica con la vita e la vita è quella dinamica spazio-temporale fatta di quanti-eventi che nel loro compiersi e organizzarsi, producono i viventi; cioè coloro che occupano lo Spazio, consumano il Tempo, producono i Fatto-accaduti che danno corpo agli echi storiografici: in questo senso nessuno può sentirsi un escluso o un offeso.
La certezza del valore della storia ha portato i due giovani fratelli Martino e Nunzio Mastrorocco a donarci un esempio di amore per la vita. Nella loro cronistoria "La nostra storia" con un lavoro da certosini, essi hanno raccolto migliaia di informazioni, intorno ad Acquaviva delle Fonti, partendo da quando si presentava come un semplice castrum, quale presidio militare posto a difesa dei villaggi della bassa murgia di sud-ovest (1100); per approdare ad oggi che si presenta come un sorridente paese adagiato ai piedi della murgia, come amò definirla, negli anni '60, Carmelo Colamonico nei suoi studi geografici.
Il lavoro, nato da una passione adolescenziale di Martino, ha richiesto anni di studio e di ricerca tra fonti oscure e difficili da decifrare; documenti impolverati e dimenticati in chissà quale biblioteca; mappe insolite e per questo interessantissime; racconti di parte che narravano o il vinto o il vincitore. In questo groviglio di nodi informativi, come direbbe il caro Edgar Morin, loro hanno dipanato, slegato, annotato, periodizzato, semplificato la complessità della storia cittadina che, proprio perché complessa, non può essere circoscritta ad un singolo territorio, a una singola località.
La loro azione di lettura, attuata con un occhio estremamente moderno, tipico dell'informatico, ha spogliato gli eventi dalle incrostazioni di commenti, di opinioni e di invenzioni, secondo Jacques Le Goff, dando, così facendo, agevolezza e velocità al racconto, non a caso chiamato cronistoria (da crono = tempo). Scegliendo di non intrecciare ed interpretare la dinamica della vita, quasi per pudore nei confronti degli stessi fatti, essi si sono limitati a trascrivere in successione temporale gli eventi e questi hanno conservato, nella loro essenzialità, la forza promotrice dei quanti biostorici che li avevano prodotti. Martino e Nunzio, infatti, isolando dai contesti testuali gli eventi, hanno ripercorso circa 10 secoli della vita cittadina e non solo, lasciando parlare con semplicità solo e unicamente gli eventi. Il loro racconto, così organizzato, apre nella mente del lettore finestre di vissuti, di attesi, di traditi, di realizzati, di negati. Ed è in un tale susseguirsi di narrati e di sottintesi che la lettura si fa agevole, veloce, appassionante, ricca di possibilità di legami e copiosa di deduzioni che, se pur volutamente non espresse, spontaneamente affollano la mente di chi legge.
Lo spaccato di storia locale che emerge, si presenta come una rete uno-tutto con la storia nazionale ed europea. Varie sono le possibilità, per il lettore accorto, di elaborare delle linee di interconnessioni storiografiche e, volendo provare con un'indagine a occhio eco-biostorico a tracciarne alcune, si possono ripercorrere, ad esempio quella del processo di incastellamento del basso medioevo con quella della politica dei matrimoni, oppure quella dei rapporti difficili tra i baroni e i re di Napoli con quella del passaggio da nobiltà di spada a nobiltà di toga che produsse una involuzione nei rapporti agrari, con il relativo impoverimento e asservimento delle popolazioni: interessante è vedere come nel '700 in Europa si parli di crescita demografica, mentre ad Acquaviva di decrescita della popolazione, grazie alla politica delle gabelle dei de Mari.
Un'altra linea di approfondimento è quella delle lotte di investitura tra il papato e l'impero che videro in Acquaviva un nodo di contesa nella disputa sulla Chiesa Palatina, a cui metterà fine solamente il Concordato del 1929. Un altro percorso è quello delle lotte in suolo italiano tra le grandi potenze europee tra il 500-600 che avviarono il passaggio dallo Stato Assoluto allo Stato Contrattuale con relative rivoluzioni e controrivoluzioni: la stessa Piazza dei Martiri è il luogo del sacrificio dei giacobini acquavivesi del '99.
Dalla lettura emerge come Acquaviva fosse sede di un'Accademia; di una loggia massonica; di rivalità tra giacobini e sanfedisti che diedero il là a tradimenti e a vendette trasversali; di un una vendita carbonara, i Proseliti di Catone, 1817, che si riunivano nel convento francescano. Già dal 1145 si parla della presenza di una ipotetica infermeria militare, poi Ospedale dei Pellegrini 1546, infine il Miulli 1774.
Acquaviva aveva il suo ghetto ebraico con il quartiere della Giudecca, 1498, e non fu immune dalle dispute religiose, seguite alla controriforma e alla politica delle lotte di religione. La popolazione subì le angherie di feudatari laici e religiosi, come Carlo de Mari o Monsignore Falconi. Subì le trasformazioni seguite alle leggi napoleoniche, 1806, sull'eversione della feudalità che da un lato abolirono le servitù della gleba con relative angherie della classe aristocratica sulle masse contadine e dall'altro, introducendo il diritto di proprietà sui terreni, abolirono gli usi civici, come quelli di pascolo o di legnatico che nell'idea feudale erano dei benefici per andare incontro alle povertà. Anche in Acquaviva si assiste a partire dal 1848 alla nascita di un ceto borghese agrario, progressista, che svolgerà una funzione anche legale come giudice di pace. Alla grande proprietà terriera si affiancherà una media, nata dalla vendita dei beni dei monasteri e dei demani comunali. Nel processo complesso di unificazione italiana, il paese non fu immune dal fenomeno del brigantaggio, infatti fu sede nel 1862 di uno scontro tra l'esercito regio e la banda del brigante Romano, presso la masseria del Panzo. Nel 1896 fu aperta la prima sezione del partito socialista e poi tutta la storia più recente.
Si può concludere affermando che nella cronistoria, c'è tutta la dinamica evolutiva di Acquaviva, da semplice sito militare, probabilmente normanno, posto a difesa dei casali circostanti dagli attacchi dei saraceni che erano stanziati in Bari: oggi il ritrovamento di una base di torre, in piazza dei Martiri, avvallerebbe tale ipotesi; che poi cominciò a prendere la forma di castello e quindi di luogo di residenza di un signore feudale, il normanno Roberto Gurgulione che oltre a svolgere l'azione di vassallaggio sui casali circostanti, come Ventauro, Sant'Angelo, Malano e Salentino, avrebbe fatto edificare una chiesa nei pressi del Palazzo, dedicata all'Assunta Vergine Maria (1158); ed infine di borgo che piano piano si è ingrandito sino ai circa 22.000 abitanti di oggi.
Importante è sottolineare come la nascita di Acquaviva sia avvenuta intorno ad un castello e ad una chiesa, fenomeno questo molto diffuso nel Basso Medioevo, quando la rinascita economica dopo il mille favorì l'insediarsi di agglomerati cittadini, con relativo esodo di una parte della manodopera dall'agricoltura alla mercatura. Essendo poi una città fortificata, diventò luogo di asilo per le popolazioni dei centri limitrofi, allorquando le rivalità tra i baroni, rendeva utile la presenza di una cinta di mura, a difesa della cittadinanza. Solo il tradimento permise per ben tre volte la messa a ferro e fuoco del paese, nel 1459 e nel 1495, ad opera dell'esercito francese nelle lotte tra Angioini e Aragonesi per la successione al trono di Napoli; nel 1799 a seguito della lotta tra Giacobini e Sanfedisti. La città fu sempre ricostruita, data l'importanza economica delle sue fonti di acqua sorgiva, fonti che nel 1862 le diedero il nuovo nome: Acquaviva delle Fonti.
Qui mi fermo e rimando chi avrà voglia di ripercorrere la nostra storia, alla lettura del libro che si presta molto bene per un lavoro di ricerca e di studio, ad esempio con le classi o per un semplice diletto.



Pagina precedente www.cassarmonica.it Indice Analitico Cronostoria Inizio Torna all'inizio della pagina